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Là dove nemmeno Hubble arriva: ecco le galassie polverose e oscure nell’universo primordiale

Nell’universo primordiale le galassie massicce erano molto più varie di quanto ci si aspettasse, e molte di loro assai più “mature” delle previsioni di qualsiasi modello teorico oggi esistente. Questi i sorprendenti risultati del lavoro del team internazionale di astronomi che hanno studiato 118 galassie lontanissime con l’Atacama Large Millimeter/submillimeter Array (ALMA) nell’ambito del progetto ALPINE, il più grande studio di galassie distanti nell’universo primordiale. Alle indagini, raccolte in otto articoli scientifici pubblicati oggi sulla rivista Astronomy & Astrophysics, hanno partecipato anche ricercatori italiani e dell’INAF.
Il mistero dell’origine della nostra galassia affascina gli astronomi da decenni. Da un lato sappiamo che la maggior parte delle galassie simili alla Via Lattea hanno cominciato a formarsi 13.5 miliardi di anni fa, nel nostro universo che ha un’età di 13.8 miliardi di anni. D’altra parte sappiamo che la maggior parte delle galassie, 10 miliardi di anni fa, avevano già strutture simili a quelle odierne. Se vogliamo capire come galassie simili alla Via Lattea si siano formate è dunque fondamentale studiare l’epoca tra 10 e 13.5 miliardi di anni fa.
Con il progetto ALPINE (the ALMA Large Program to Investigate CII at Early Times), un team internazionale di astronomi, di cui alcuni dell’INAF e coordinato tra gli altri da Paolo Cassata, dell’Università degli Studi di Padova, ha studiato 118 galassie in questa epoca dell’universo primordiale, insieme ad altre che fortuitamente si trovavano vicino ad esse. “Abbiamo trovato che l’universo in questa epoca è una vera fucina di galassie” afferma Cassata. “Le galassie più comuni stanno cominciando ad accumulare grandi quantità di polveri e metalli, altre invece sono già così polverose da essere completamente invisibili alle lunghezze d’onda ottiche”.
Le galassie si considerano più “mature” che “primordiali” quando contengono una quantità significativa di polveri ed elementi pesanti (i cosiddetti “metalli”). Ma le galassie nell’universo primordiale non hanno avuto tempo sufficiente per produrre molte stelle, per questo gli astronomi non si aspettavano di trovarci già tanta polvere e metalli.
Precedenti studi condotti con il telescopio ALMA, situato sull’altopiano di Atacama in Cile, avevano già individuato in passato galassie molto distanti e polverose come MAMBO-9 e la galassia Wolfe, lasciando gli astronomi con il dubbio se queste scoperte fossero casi isolati, o se ci fossero altre galassie simili altrettanto lontane. ALPINE è il primo progetto osservativo che ha permesso di studiare un’intera popolazione di galassie nell’universo primordiale, mostrando che, con grande sorpresa degli astronomi, molte di queste si sono evolute più rapidamente di quanto ci si aspettasse.
Alcune di queste galassie infatti vengono considerate sufficientemente mature perché nella varietà di morfologie, mostrano anche strutture a spirale regolari, simili a quella della nostra Via Lattea. Di solito gli astronomi si aspettano che le galassie nell’universo primordiale abbiano delle strutture disordinate e disturbate, perché spesso collidono tra di loro.
Le osservazioni di ALMA sono state cruciali per il progetto ALPINE perché questo radiotelescopio ci ha permesso di tracciare i moti del gas emesso dalle regioni dove si stanno formando le stelle, che in genere sono nascoste dalle polveri. I classici progetti osservativi dell’universo primordiale di solito utilizzano telescopi ottici e nel vicino infrarosso, che permettono di quantificare il tasso di formazione di stelle che non sono oscurate dalla polvere e di calcolare la massa totale in stelle, ma allo stesso tempo non forniscono alcuna informazione sulla porzione di stelle in formazione oscurate dalle polveri, o sul moto del gas nelle galassie. E alle volte proprio non riescono a vedere certe galassie. Con ALMA il team ha scoperto alcune galassie distanti che non erano mai state viste prima, ribattezzate “Hubble-dark”. Le galassie “Hubble-dark”, rivelate fortuitamente nei campi ALPINE, sono così chiamate perché sono invisibili persino nelle immagini più profonde con l’Hubble Space Telescope, sempre per il fatto dell’abbondanza di polveri presenti in esse che blocca gran parte della loro luce.
ALMA ha aperto una breccia nelle osservazioni profonde, permettendoci di penetrare la coltre di polvere nelle galassie lontane e di rivedere le nostre conoscenze sulle galassie nelle prime fasi evolutive dell’universo. “Abbiamo trovato e che ci sono molte più galassie polverose e massicce (cioè che hanno già formato molte stelle e metalli) e molta più attività di formazione stellare in atto di quanto non ci si aspettasse in base ai modelli di formazione delle galassie” spiega Carlotta Gruppioni, ricercatrice all’INAF di Bologna, prima firmataria dell’articolo che descrive la scoperta delle galassie Hubble-dark con ALPINE e ricostruisce la storia di formazione stellare dell’universo, uno degli otto articoli pubblicati oggi. “Ad esempio, ricostruendo la storia della formazione stellare nell’universo con le galassie polverose che ALMA ha rivelato fortuitamente nei campi ALPINE, abbiamo trovato che il tasso di formazione stellare era già elevatissimo nell’universo primordiale e pressoché costante per quasi tre miliardi di anni, da 12,8 a 10 miliardi di anni fa, ovvero da redshift 6 a redshift 1,5 per dirla alla maniera usata dagli astronomi per definire le epoche cosmiche. Il picco di formazione stellare collocato 10 miliardi di anni fa da studi ottici e ultravioletti, che non vedono le galassie polverose nell’universo lontano, è in realtà un plateau”.
“Le galassie totalmente oscurate, o Hubble-dark, producono circa il 17% delle stelle nell’universo primordiale e costituiscono circa il 15-20% delle galassie infrarosse osservate a quelle epoche. I modelli correnti di formazione delle galassie non sono in grado di spiegare come si siano potute formare in tempi così rapidi tante galassie massicce e polverose, che stiano formando stelle ad un tasso già così elevato. Questo ci sta dicendo che dobbiamo riconsiderare le nostre conoscenze sulla formazione ed evoluzione delle galassie” sottolinea Gruppioni. Alcune delle sorgenti Hubble-dark sono state rivelate anche per una particolare caratteristica nella luce emessa da quegli oggetti celesti, indice della presenza di grandi quantità di gas e di elevata formazione di stelle. Queste galassie Hubble-dark ancora più peculiari sono state studiate in dettaglio da due studenti di dottorato, Federica Loiacono dell’Università degli Studi di Bologna, e Michael Romano dell’Università degli Studi di Padova. Per capire meglio la natura delle galassie oscurate nell’universo primordiale, ed in particolare delle galassie Hubble-dark, saranno fondamentali osservazioni ancora più profonde con ALMA e con il telescopio spaziale James Webb.
Un altro fondamentale punto di forza del programma ALPINE è stato l’utilizzo combinato, oltre ad ALMA, di altri telescopi da terra e dallo spazio per caratterizzare al meglio le galassie osservate, nell’ottico e nell’infrarosso. Studi a più lunghezze d’onda sono cruciali per costruire un quadro completo di come le galassie vengono assemblate. Le osservazioni multi-banda permettono agli astronomi di vincolare meglio i diversi meccanismi fisici che fanno brillare le galassie alle diverse lunghezze d’onda. “Confrontando i dati ottici con quelli radio ottenuti con ALMA ci siamo accorti che la riga ultravioletta Lyman-α presente nello spettro della luce emessa da molte di queste galassie è assai meno attenuata di quanto si potesse immaginare, vista la quantità di polveri che esse contengono. Questo ci fa pensare che le polveri, seppur abbondanti, non siano distribuite uniformemente in queste galassie, e questo fa sì che la luce della riga Lyman-α possa “scappare” lungo delle traiettorie libere dalle polveri. Questo ci fa supporre che, nonostante queste galassie primordiali siano sulla buona strada, non tutte abbiano già completato il loro processo di maturazione”, dice Cassata, primo autore di un altro degli otto articoli pubblicati oggi sulla rivista Astronomy & Astrophysics. E per andare ancora più a fondo nella questione, i ricercatori hanno già in programma ulteriori, accurate osservazioni di galassie con ALMA.
La lista della serie di articoli ALPINE pubblicati oggi sulla rivista Astronomy & Astrophysics:

Le Fèvre et al (A&A, 643, A1): https://doi.org/10.1051/0004-6361/201936965

Béthermin et al. (A&A, 643, A2): https://doi.org/10.1051/0004-6361/202037649

Schaerer et al. (643, A3): https://doi.org/10.1051/0004-6361/202037617

Fudamoto et al. (643, A4): https://doi.org/10.1051/0004-6361/202038163

Dessauges-Zavadsky et al. (643, A5): https://doi.org/10.1051/0004-6361/202038231

Cassata et al. (643, A6): https://doi.org/10.1051/0004-6361/202037517

Ginolfi et al. (643, A7): https://doi.org/10.1051/0004-6361/202038284

Gruppioni et al. (643, A8): https://doi.org/10.1051/0004-6361/202038487

Il sito web del progetto ALPINE: http://alpine.ipac.caltech.edu
Tutte le pubblicazioni di ALPINE sono dedicate alla memoria di Olivier Le Fèvre, Principal Investigator del progetto ALPINE.
Foto e Notizie: Ufficio Stampa INAF

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