La responsabilità medica: il ginecologo va assolto se il feto non sarebbe sopravvissuto
La Cassazione si pronuncia su una questione alquanto delicata sostenendo che il ginecologo vada assolto dal reato di omicidio colposo se, nella condotta tenuta da quest’ultimo, non è ravvisabile la soglia della rilevanza causale.
L’omicidio colposo che deriva dall’intervento tardivo sulla gestante.
Con la sentenza nr. 8864/2020 la Corte di Cassazione assolve il ginecologo accusato di non aver praticato nei tempi corretti il parto cesareo, causando così la morte del feto, con la formula “per non aver commesso il fatto”.
Gli Ermellini arrivano a tale conclusione poiché, nel corso del giudizio, non è stata raggiunta la soglia probatoria della rilevanza della condotta del ginecologo, dopo che la sentenza della Corte d’Appello aveva già dichiarato di non doversi procedere nei suoi confronti per il reato di omicidio colposo.
Il medico era stato accusato di aver causato il decesso del feto di una donna che presentava sintomi di preeclampsia per ritardato espletamento del parto, omesso monitoraggio e mancata adozione delle misure necessarie a salvaguardare la di lei vita nonché quella del nascituro.
Molto probabilmente un intervento immediato li avrebbe salvati entrambi ma il ginecologo dalle ore 8.00 alle ore 10.07 non aveva effettuato alcun tipo di visita tant’è che il feto, a quell’ora, già era deceduto.
Nel corso dell’istruttoria emerge che se il medico fosse intervenuto alle ore 9.30, nonostante la situazione si presentasse già come grave, il feto sarebbe sicuramente sopravvissuto; in secondo grado l’imputato ha richiesto una perizia, espletata da due medici, i quali hanno evidenziato che da prima che il secondo medico (ossia il ginecologo) subentrasse vi erano tutte le condizioni a favore per poter procedere al parto cesareo d’urgenza.
Successivamente veniva analizzata la condotta del secondo ginecologo, veniva contestata l’omessa applicazione della cardiotocografia la quale avrebbe permesso di monitorare il battito del feto, difatti, secondi i periti, se tale esame fosse stato effettuato ciò avrebbe permesso di comprendere con più precisione se il taglio cesareo, praticato un’ora prima, avrebbe salvato il feto. Certamente, se il parto fosse stato praticato dal primo ginecologo di turno alle 7 la sopravvivenza del nascituro sarebbe stata salvaguardata.
Nonostante ciò, la Corte d’Appello ha concluso per la responsabilità del secondo ginecologo in quanto ha collegato l’omessa applicazione della cardiotocografia al ritardo del parto e, pertanto, al decesso del feto, non tenendo però in conto il dubbio manifestato dai periti circa l’effettiva possibilità di sopravvivenza del feto.
Il nesso di causa tra la condotta e l’evento
Il secondo ginecologo di turno ricorre in Cassazione sollevando i seguenti motivi:
1. Con il primo motivo si contesta l’omessa motivazione da parte della Corte sul nesso di causa tra la condotta e l’evento posto che non è stato in alcun modo possibile stabilire se, effettuando la cardiotocografia ed anticipando di conseguenza il parto cesareo di un’ora, le condizioni in cui si trovava il feto avrebbero permesso la sua sopravvivenza;
2. Con il secondo motivo viene lamentata l’errata qualificazione giuridica del reato contestato, inquadrabile verosimilmente nell’aborto colposo ai sensi dell’articolo 593 bis c.p. visto che i periti avevano affermato che i polmoni del nascituro non hanno mai respirato e che, al medico del turno precedente, è stata imputato questo tipo di reato meno grave rispetto a quello a lui contestato.
Non è esperibile la soglia probatoria della rilevanza della condotta tenuta dal ginecologo.
Con la sentenza nr. 8864/2020 la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del ginecologo ritenendolo fondato.
Effettivamente consolidata giurisprudenza ha stabilito che “a proposito dell’obbligo motivazionale del giudice dissenziente in tema di responsabilità medica, si afferma che il giudice di merito che intenda discostarsi dalle conclusioni del perito d’ufficio è tenuto ad un più penetrante onere motivazionale, illustrando accuratamente le ragioni della scelta operata, in rapporto alle prospettazioni che ha ritenuto di disattendere, attraverso un percorso logico congruo, che evidenzi la correttezza metodologica del suo approccio al sapere tecnico- scientifico, a partire dalla preliminare, indispensabile verifica critica in ordine all’affidabilità delle informazioni scientifiche disponibili ai fini della spiegazione del fatto.”
Di tali principi la Corte d’Appello non ha fatto corretta applicazione in quanto ha disatteso del tutto le conclusioni dei periti nonostante nella sentenza sia riportato espressamente: “quanto alla possibilità che il nascituro nascesse vivo e vitale ove estratto alle 07,00 anziché alle 09,30, i periti si sono detti non in grado di fornire una risposta certa, in relazione alle condizioni della madre e del feto” ma non solo, la stessa Corte ha trascurato altresì che “nei reati omissivi impropri, la valutazione concernente la riferibilità causale dell’evento lesivo alla condotta omissiva che si attendeva dal soggetto agente, deve avvenire rispetto alla sequenza fenomenologica descritta nel capo d’imputazione, di talché, nelle ipotesi di omicidio o lesioni colpose in campo medico, il ragionamento controfattuale deve essere svolto dal giudice di merito in riferimento alla specifica attività (diagnostica, terapeutica, di vigilanza e salvaguardia dei parametri vitali del paziente o altro) che era specificamente richiesta al sanitario e che si assume idonea, se realizzata, a scongiurare l’evento lesivo, come in concreto verificatosi, con alto grado di credibilità razionale”.
Fondato è altresì il secondo motivo del ricorso in quanto resta assorbito dal primo poiché dalle risultanze dei periti resta totalmente inesperibile il raggiungimento della soglia probatoria circa la rilevanza causale della condotta addebitata al dottore con riferimento al nefasto evento.
Dott.ssa Debora Moda
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