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La Locazione Commerciale nell’epoca del Covid-19

Tempi duri questi per chi ha un’attività di impresa, specialmente con i provvedimenti straordinari adottati dal Governo e dalle singole Regioni per riuscire a contenere quanto più possibile l’epidemia da COVID-19 molti, infatti, con il lockdown hanno dovuto affrontare la temporanea sospensione della maggior parte delle attività commerciali, industriali e professionali.
Una delle maggiori difficoltà dovute a questo periodo di stop è stata sicuramente quella legata al pagamento del canone di locazione della propria attività, inizialmente nel periodo dove tutto era chiuso e quindi non c’erano entrate, ancor di più ora e domani che, con un forte decremento del reddito di tutta la cittadinanza, dovranno fare i conti con un drastico calo dei consumi da parte dei consumatori.
Non esaminiamo poi quelli che sono i costi da sostenere per adottare tutte le misure di sanificazione ed igienizzazione oggi più che mai fondamentali.
Il Governo ha cercato in ogni modo di intervenire adottando provvedimenti ad hoc che però, ancora oggi, non si sono rivelati del tutto risolutivi del problema, si pensi ad esempio alle agevolazioni tributarie riconosciute ai conduttori prima con il d.l. 18/2020 cosiddetto “Cura Italia” e poi con il decreto “Rilancio”.
Nel primo decreto, all’articolo 65 viene riconosciuto “agli esercenti attività d’impresa un credito d’imposta nella misura del 60% dell’ammontare del canone di locazione, relativo al mese di marzo 2020, di immobili rientranti nella categoria catastale C/1”, ossia negozi e botteghe.
Per ovviare poi ai problemi che ne sarebbero derivati, posto che l’ambito di applicazione di tale norma era relativo solo al mese di marzo ed agli immobili che rientravano nella categoria catastale C/1, subentra l’articolo 28 d.l. 34/2020 (conosciuto anche come decreto “Rilancio”) che prevede un credito d’imposta del 60% dell’ammontare mensile del canone di locazione, di leasing e di concessione di tutti gli immobili ad uso non abitativo per i mesi di marzo, aprile e maggio 2020 (ad eccezione della attività alberghiera o agrituristica stagionale per cui il credito d’imposta è relativo al pagamento dei canoni di aprile, maggio e giugno).Questo articolo ha anche previsto un credito di imposta del 30% per i contratti di servizi a prestazioni complesse nonché per i contratti di affitto d’azienda, comprensivi di almeno un immobile ad uso non abitativo.
Anche questa misura però è stata ritenuta dai commercianti del tutto insufficiente dal momento che, da un lato la fruizione del credito d’imposta sarebbe subordinata al rispetto di requisiti dimensionali e di fatturato e, per di più, presuppone che ci sia stato il pagamento integrale del canone da un lato, e, dall’altro, non si rivela idonea a risolvere i problemi legati ai costi che ogni imprenditore deve sostenere per svolgere la propria attività. Nemmeno d’ausilio si è rivelato l’articolo 91 del Cura Italia che disciplina: “il rispetto delle misure di contenimento è sempre valutato ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti”. Questa norma non fa altro che limitarsi ad imporre all’autorità giudiziaria di valutare il rispetto delle misure di contenimento dell’epidemia e le limitazioni all’attività produttiva che ne conseguono per evitare l’esclusione della responsabilità del debitore.
Pertanto, se da un lato abbiamo gli imprenditori che si trovano in ginocchio a causa del lockdown, dall’altro lato abbiamo i locatori degli immobili che, traevano da questo, un fonte di guadagno.
Come tutelare entrambi?
A fronte delle insufficienti risposte date dal Governo, conduttori e locatori non hanno potuto far altro che addivenire ad un accordo e, in caso di rifiuto, cercare con i propri legali e consulenti, nei principi generali dettati dal codice civile in materia di locazione, delle basi giuridiche che consentissero loro di sospendere, o, ove possibile, almeno ridurre il pagamento della locazione nel periodo di locazione salvo recedere dal contratto. Possibile per i conduttori che non potevano esercitare in alcun modo la loro attività esercitare la richiesta di risoluzione per impossibilità sopravvenuta, o per eccessiva onerosità sopravvenuta, nonché esercitare il recesso per gravi motivi.
Ma è anche vero che la maggior parte dei conduttori non vuole recedere dal contratto, anzi, vorrebbero solamente ridefinire il rapporto ed i termini di pagamento in vista di una futura ripresa totale dell’attività e allora, sembra che l’unica soluzione possibile, sia quella di avvalersi dell’articolo 1464 c.c. in materia di impossibilità parziale della prestazione.
Tale norma darebbe la possibilità al conduttore che subisce un’impossibilità parziale della prestazione di richiedere la riduzione della prestazione dovuta o, in alternativa, il recesso dal contratto qualora non abbia un interesse all’adempimento parziale. Certamente questa soluzione sconterebbe i tempi della giustizia e non andrebbe a rallentare ancora di più tutta la macchina giudiziaria.
Al momento, trovandoci in assenza di un intervento normativo in grado di risolvere significativamente tali problematiche, si consolida l’orientamento di alcune pronunce dei tribunali italiani che attribuiscono un ruolo determinante alla chiusura delle attività commerciali imposte dal Governo al fine di contrastare l’emergenza sanitaria, offrendo in tal modo una tutela per le attività produttive e commerciale e per la loro sopravvivenza.
Dott.ssa Debora Moda
L’Avvocato online

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