Coronavirus, la lettera di speranza di un medico del Koelliker di Torino
Sono un medico, un medico che, come molti altri in questi giorni difficili di lotta estenuante contro un nemico invisibile, di solitudine estrema nel tentativo di restare uniti, di incertezza e coraggiosa paura, si trova a fare i conti con tre mondi diversi. La solitudine, quella dei pazienti che lottano, guariscono, muoiono… senza i loro cari. Siamo noi, i loro fratelli, sposi, figli…padri e madri. La solitudine è il marchio di questa malattia.
Il primo mondo. Il mondo frenetico, rumoroso, affollato, a tratti ansioso dei reparti di degenza ospedaliera. Luoghi snaturati e rapidamente trasformati, così come i loro medici.
Luoghi in cui ortopedici imparano ad essere pneumologi, dove i cardiochirurghi diventano aiuto anestesisti, e i radiologi provano a fare gli infermieri. Tutto questo non è caos, ognuno di questi medici conosce i propri pazienti per nome e cognome. I protocolli ci sono, ma la standardizzazione diventa un limite, perché ognuno di loro ha una storia diversa, un cammino che sarà più o meno lineare o tortuoso.
Il nemico sconosciuto ha trovato in questo mondo un gruppo folto e unito di soldati pronti a non lasciare nulla di intentato, pronti a superare il senso di abbandono e la paura dell’ignoto che pervade ognuno di essi. Fra i letti nelle camere, nelle sale visita, negli studi medici e nelle sale operatorie si respira un potente vento di speranza. Lo stesso vento che prepotentemente bussa alle porte delle terapie intensive.
Il secondo mondo, ovattato. Dove il silenzio è interrotto soltanto dagli allarmi dei monitor. Dove marziani in tuta e cappuccio bianchi vedono la realtà sfuocata dalle visiere protettive.
Pochi letti molto distanziati, tubi, maschere, elettrodi e una vibrante voglia di farcela. Si vede dal passo deciso dei “senior”, i medici con maggiore esperienza, dalla frenetica entropia di una minuta giovane infermiera, dagli occhi che brillano dopo ogni piccolo traguardo raggiunto: tutto questo si chiama entusiasmo. Ed essi di questo si nutrono.
E poi il terzo mondo. Il resto del mondo, il mondo fuori, spesso spettrale e desolante che arriva ad essere malinconico quando bagnato dalla pioggia battente di oggi, sotto plumbee nubi di un meraviglioso grigio Torino. Il mondo “fuori” dove è difficile districarsi fra ciò che è vero e ciò che è presunto. Dove a caratteri cubitali ci vengono trasmessi e urlati numeri impressionanti di decessi quotidiani e disegnate nelle nostre case curve svettanti di contagi in crescita.
Alziamo il volume di quel sussurro che dice che quelle ripide curve sono piene di contagiati asintomatici, che i malati a domicilio possono guarire a casa, o devono entrare in ospedale.
L’influenza Covid porta sintomi speso lunghi a scomparire. L’affanno respiratorio anche a riposo, la febbre alta per giorni che si ripresenta dopo un periodo di apiressia, la spossatezza, l’inappetenza e la perdita di gusto e olfatto, importanti perdite di peso. E’ dura, è vero ma dopo tutto ciò torna il sereno. E quando le nubi persistono e si infittiscono allora quello è il tempo per gli angeli della Terapia Intensiva. Dai reparti di terapia intensiva i pazienti spesso escono. Provati, affaticati, segnati ma pronti a ripartire. I Pazienti Covid sono giunti a noi come sconosciuti, meteoriti da altri pianeti, quadri clinici nuovi, andamento imprevedibile rispetto a tutto ciò che avevamo visto finora. Ognuno di loro richiede un’enorme dedizione di risorse umane, tecniche e strumentali.
La radiografia del torace esprime in una sola immagine l’evoluzione e la storia clinica del paziente guidando i passi dei terapisti. É come in un grande gioco dell’oca, quattro passi avanti spesso sono seguiti da due passi indietro e talvolta a due avanti ne seguono cinque indietro. Ma mai mollare, l’obiettivo è fissato: i pazienti devono “essere tirati fuori”, così dicono i rianimatori.
Ogni essere umano in questo luogo viene continuamente pronato, supinato, aspirato, monitorizzato. Manovre apparentemente semplici che richiedono invece dispendio incredibile di energie umane, esperienza e coraggio.
Situazioni complicate, dall’intubazione si può anche arrivare all’ECMO respiratorio, un sistema di circolazione extracorporea che mette a riposo parziale o totale il polmone stressato dalla malattia. Tutto ciò richiede risorse, energie e molta esperienza. Tutto ciò va fatto sempre per arrivare all’obiettivo: il respiro spontaneo. La rimozione del tubo, la maschera d’ossigeno poi, finalmente, l’aria ambiente. Il nostro ambiente. L’ambiente degli umani, con ossigeno al 21%, non più al 100%.
Alcuni non ce la fanno, nonostante tutto e nonostante tutti, ma una cosa è certa: per ognuno di loro una truppa motivata, entusiasta e combattiva di soldati, guidata da valorosi condottieri, avrà lottato fino all’ultimo minuto per non dichiarare la resa. Perché, come scrisse Oswald Spengler “Alla fine, ci sarà sempre un plotone di soldati a salvare la civiltà”. E vi assicuro che ognuno di loro, ogni vinto, ogni morte non sarà stata invano né dimenticata.
Perché da ogni singola perdita avremo imparato. Imparato a non ripetere gli stessi errori. Imparato a spingerci oltre i limiti e più ancora. Imparato a sviluppare l’ingegno applicando l’inventiva quando la tecnologia non ci supporta o le risorse scarseggiano.
Ancora imparo. Potrei farvi mille esempi: il ciclista sessantenne combattivo come un leone, che ce l’ha fatta dopo venti giorni in Terapia Intensiva. Il paziente capriccioso e tenace che ce l’ha fatta cedendo il suo posto ad un ragazzo il cui polmone ha richiesto una pausa e un aiuto meccanico. E lei, una delle poche donne, che prima fra tutti ha superato la crisi. Era la più anziana di tutti.
E quanti altri ancora… ma non è questo il tempo e non è questo il luogo. Questi tre mondi sono strettamente vicini, così tanto da embricarsi, comunicare liberamente fra loro. E così devono essere vissuti da ognuno di noi … fino a credere fermamente ed avere la fiducia che da uno di essi si può passare all’altro e che il percorso non è biunivoco e che le risorse possono diventare intercambiabili. Vorrei aver comunicato il mio messaggio di fiducia, di pazienza e di positività, sicuri che, alla fine, ANDRA’ TUTTO BENE.
Mara Falco
Foto e Notizie: Ufficio Stampa Maybe Press