Là dove la tavola periodica ha solo tre caselle
La chiamano ‘Popolazione III’. Una popolazione mai entrata in contatto con la civiltà. Vergine. Sembra il desiderio segreto di ogni antropologo. E invece è il sogno di ogni astronomo. Perché Popolazione III – Pop III, per comodità – non è fatta di esseri umani, bensì di stelle. Stelle incontaminate. Pure. Illibate, le definiscono. Mai sfiorate da alcun elemento che non sia fra i pochi presenti nella tavola periodica primordiale, quella forgiata direttamente dal Big Bang. Vale a dire, una tavola periodica di soli tre elementi: idrogeno, elio e tutt’al più una spolverata di litio.
Il sogno d’ogni astronomo, dicevamo. Ebbene, un team d’astrofisici guidato da Eros Vanzella e Massimo Meneghetti dell’Inaf di Bologna, scrutando le profondità del cielo con il Very Large Telescope (VLT) dell’ESO in direzione della costellazione di Eridano, potrebbe essersi imbattuto in alcuni di questi rari esemplari di Pop III: un complesso di una dozzina di stelle massicce potenzialmente “fresche”, come si dice in gergo. Per riuscirci c’è voluta fortuna, certo. Ma soprattutto è stato necessario far ricorso a uno strumento straordinario, perché queste stelle – pur enormi e caldissime – sono talmente lontane da produrre una luce che giunge a noi 400 miliardi di volte più fioca di quella della stella più debole che si possa osservare a occhio nudo. Uno strumento straordinario fornito direttamente dalla natura: un ammasso di galassie di nome MACS J0416 piazzato esattamente là dove occorreva per agire, su quella dozzina di stelle, come una lente gravitazionale di potenza inaudita.
“Una lente gravitazionale forte come MACS J0416”, spiega Meneghetti, “è in grado di distorcere il cielo retrostante in modo drammatico. Sorgenti molto piccole diventano spettacolari archi gravitazionali, venendo così ingrandite. Questo ingrandimento è chiamato ‘amplificazione’. Esistono delle regioni – dette linee critiche – laddove l’amplificazione diventa enorme. Non abbiamo dubbi sul fatto che la sorgente in questione si trovi proprio sopra alla linea critica di MACS J0416, e per questo la radiazione elettromagnetica che stiamo rilevando sotto forma di emissione Lyman-alpha sia almeno 40 volte più grande di quella che potremmo vedere in assenza dell’ammasso lente”.
Ma come se ne sono accorti, di quella dozzina di stelle? Una volta inquadrata la remota regione d’universo alle spalle della lente di MACS J0416 e al centro dello specchio del VLT, Vanzella e colleghi hanno cominciato a interrogarla per decifrarne la composizione chimica. Usando lo spettrografo a campo integrale MUSE, hanno fatto l’appello degli elementi là presenti. Partendo, ovviamente, dalla prima casella: l’idrogeno. Niente di nuovo, ne avevano già messe sotto esame tante, di regioni così. Ma questa volta la risposta è stata diversa.
“Abbiamo misurato una fortissima emissione dell’idrogeno, nota come Lyman-alpha. Talmente forte”, ricorda Vanzella, “da richiedere la presenza di stelle speciali, di prima generazione – predette, ma fino a ora mai trovate. Le sole capaci di stimolare enormemente la suddetta riga spettrale. Le stelle di prima generazione – note come Pop III stars – si formano in un ambiente illibato arricchito dalla nucleosintesi primordiale degli elementi, in cui solo idrogeno, elio e qualche traccia di litio rispondono all’appello. È un’evidenza indiretta, tuttavia queste straordinarie stelle possono raggiungere una massa mille volte quella del Sole ed essere venti volte più calde, oltre ad aver dato il via alla costruzione della tabella periodica degli elementi in quella regione”.
Se sono davvero stelle ‘illibate’, poterle studiare sarà un’esperienza emozionante: sarà come assistere ai primi passi della formazione stellare. Al momento, mettono le mani avanti gli autori dello studio, sono solo ‘candidate’. “La conferma definitiva che là ci siano proprio stelle di Popolazione III verrà da osservazioni dedicate con il futuro telescopio ELT da 39 metri”, conclude Vanzella, “oppure, con un po’ di fortuna, con l’attuale VLT, misurando una seconda riga chiave dell’elio come caratteristica inequivocabile della loro presenza. Servono 30 ore di osservazione, e la richiesta la inoltreremo nei prossimi giorni”.
Foto e Notizie: Ufficio Stampa INAF