Nuova coppia di buchi neri scoperta nel cuore pulsante di una galassia lontana
Un gruppo di astrofisici italiani guidato dall’INAF ha sviluppato un nuovo metodo per la caccia ai sistemi binari di buchi neri supermassicci, nascosti nel cuore di galassie lontane che stanno lentamente fondendosi in un processo di merging. Testato su osservazioni ai raggi X del telescopio spaziale Swift, il metodo ha svelato una nuova coppia di questi giganti cosmici, distanti tra loro “solo” 150 miliardi di chilometri, al centro di una galassia lontana oltre 300 milioni di anni luce da noi.
Due buchi neri, centinaia di milioni di volte più massicci del Sole, separati da una distanza soltanto mille volte più grande di quella che intercorre tra la Terra e la nostra stella, e legati in un’inesorabile danza di avvicinamento che, dopo alcune centinaia di migliaia di anni – o forse qualche milione – li porterà a collidere e fondersi, creando un corpo ancora più massiccio e producendo un picco di onde gravitazionali.
Questo l’oggetto di una nuova scoperta, pubblicata su The Astrophysical Journal a firma di un team tutto italiano guidato da Roberto Serafinelli, ricercatore post-doc INAF a Milano. Il gruppo ha messo a punto una nuova tecnica per esaminare grandi campioni di galassie e cercare segnali ripetuti, o periodici, nella loro emissione a raggi X, indizio della presenza di due buchi neri supermassicci nel loro nucleo, in orbita l’uno intorno all’altro.
“Abbiamo cercato la periodicità in un campione di 553 galassie attive, delle quali l’osservatorio spaziale Neil Gehrels Swift Observatory aveva preso dei dati con regolarità negli ultimi 10 anni”, spiega Serafinelli, primo autore del nuovo articolo. “Una di queste galassie, chiamata Markarian 915, mostra un segnale che si ripete periodicamente con cicli di circa 3 anni per circa 3 volte. Sebbene altri candidati siano stati trovati in passato, questa è la prima volta che si osserva una sorgente con questo particolare comportamento nei raggi X”.
Gli astrofisici chiamano galassie attive quelle in cui il buco nero centrale sta “divorando” la materia circostante ad un tasso notevole, dando luogo ad un disco di accrescimento che produce intense emissioni su tutto lo spettro elettromagnetico. Anche se si tratta solo di una frazione di tutte le galassie, è in queste sorgenti che si possono analizzare al meglio gli effetti dei buchi neri al loro centro.
Studi simili erano stati condotti in passato su campioni di galassie attive osservate in banda ottica – la luce visibile, a cui sono sensibili anche i nostri occhi. Da queste indagini erano emerse circa 150 potenziali coppie di buchi neri supermassicci, ma i ricercatori sospettano che molte di queste misure siano in realtà dei “falsi positivi”, in quanto un numero così grande di buchi neri binari dovrebbe produrre un segnale continuo di onde gravitazionali, ad oggi non osservato.
Il nuovo metodo, invece, si concentra su osservazioni in banda X, e in particolare nelle frequenze più alte di questa porzione dello spettro, i cosiddetti raggi X “duri” (hard X-rays), dove il segnale del disco di accrescimento intorno al buco nero è meno soggetto ad assorbimento e ad altri effetti che ne rendono più difficile la misura e l’interpretazione. Una eventuale periodicità di questo segnale, con massimi e minimi regolari di intensità, come quella riscontrata in questo lavoro, indica la presenza non di un solo disco di accrescimento, ma di due minidischi intorno a ciascun buco nero.
La ricerca di “mostri doppi” come questo è il primo passo per uno studio sistematico di uno dei più grandi misteri dell’astrofisica moderna: l’evoluzione delle galassie nel corso dei miliardi di anni di storia del nostro universo, ed in particolare il processo di merging – lo scontro tra due galassie che porta alla nascita di una nuova galassia – nonché alla coalescenza dei buchi neri supermassicci al loro centro. In futuro, le onde gravitazionali prodotte da coppie di buchi neri come questi, che si stanno lentamente avvicinando, potranno essere rilevate monitorando i tempi di arrivo dei segnali delle pulsar, mentre invece le fasi finali di questi merger saranno catturate dalla missione LISA (Laser Interferometer Space Antenna) dell’Agenzia Spaziale Europea, il primo osservatorio di onde gravitazionali nello spazio, con lancio attualmente in programma nella decade 2030.
“Comprendere la densità di buchi neri supermassicci binari nell’Universo è cruciale per capire come si siano formati e quali siano i loro progenitori”, aggiunge Paola Severgnini, anche lei ricercatrice INAF a Milano e coautrice del nuovo articolo. “Questo fornirà importantissime informazioni sull’origine delle prime strutture di materia formatesi nell’Universo e sull’evoluzione delle galassie”.
“Inoltre, questi processi di merging potrebbero innescare anche fenomeni di outflow su scale galattiche ed influenzare successivamente l’evoluzione stessa della nuova galassia creatasi”, spiega Valentina Braito, ricercatrice INAF a Milano e Catholic University of America, negli Stati Uniti.
I ricercatori e le ricercatrici attendono l’uscita di nuovi dati per confermare i sistemi binari scoperti finora mediante lo studio di osservazioni più lunghe, ed eventualmente cercarne di nuovi.
Il lavoro è stato pubblicato sul sito web della rivista The Astrophysical Journal nell’articolo Unveiling sub-parsec supermassive black hole binary candidates in active galactic nuclei di Roberto Serafinelli, Paola Severgnini, Valentina Braito, Roberto Della Ceca, Cristian Vignali, Filippo Ambrosino, Claudia Cicone, Alessandra Zaino, Massimo Dotti, Alberto Sesana, Vittoria E. Gianolli, Lucia Ballo, Valentina La Parola e Gabriele A. Matzeu
Il satellite Neil Gehrels Swift Observatory è una missione NASA con partecipazione internazionale (Italia e UK). L’INAF – Osservatorio Astronomico di Brera ha provveduto le ottiche XRT e ha realizzato, assieme ad altri istituti INAF, il telescopio ottico-infrarosso REM, mentre l’ASI Science Data Centre ha fornito il software di analisi scientifica dei dati di XRT. Il team italiano partecipa alla gestione scientifica del satellite. La partecipazione italiana è resa possibile grazie al supporto di ASI, che fornisce anche la stazione di terra di Malindi.
Per ulteriori informazioni: Ufficio Stampa INAF