Tumori: in 10 anni in Italia +53% di pazienti vivi dopo la diagnosi
In dieci anni, in Italia, i pazienti vivi dopo la diagnosi di tumore sono aumentati del 53%. Erano 2 milioni e 250mila nel 2010, oggi sono 3 milioni e 460mila. Un risultato molto importante, che dimostra i passi in avanti realizzati nell’assistenza oncologica e che colloca il nostro Paese ai vertici in Europa e nel mondo. Ma si tratta di un risultato migliorabile, perché sono ancora troppe le differenze sul nostro territorio: dall’adesione e copertura degli screening ancora troppo basse al Sud, alla realizzazione delle reti oncologiche regionali a macchia di leopardo, alla disponibilità solo in alcune Regioni più virtuose di terapie efficaci e di test in grado di analizzare il profilo molecolare del tumore. È concreto il rischio di pericolose discrepanze a danno dei pazienti. Domani si celebra la Giornata Mondiale contro il Cancro, che ha l’obiettivo di evidenziare l’impegno di ognuno nella lotta contro la malattia (lo slogan di quest’anno è I am and I will). Un impegno che si traduce anche nel garantire a tutti le stesse opportunità di cura, eliminando le differenze territoriali. L’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) aderisce alla Giornata e, in una conferenza stampa oggi a Milano, lancia un appello alle Istituzioni perché venga seguito l’esempio delle Regioni più virtuose, a tutto vantaggio dei pazienti.
“Nel 2018 sono stati stimati, nel mondo, più di 18 milioni di nuovi casi di cancro, erano 12 milioni nel 2008 – spiega Giordano Beretta, Presidente Nazionale AIOM e Responsabile dell’Oncologia Medica all’Humanitas Gavazzeni di Bergamo -. La patologia è in costante crescita nel mondo per la diffusione di stili di vita scorretti, a cui si aggiungono anche fattori ambientali. La qualità del nostro Sistema Sanitario è testimoniata dalla sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi, che presenta tassi più alti rispetto alla media europea nei tumori più frequenti: 86% nella mammella (83% UE), 64% nel colon (60% UE), 16% polmone (15% UE) e 90% prostata (87% UE). E raggiungiamo questi risultati con minori investimenti: la spesa sanitaria pubblica in rapporto al PIL nel nostro Paese ha registrato un calo, passando dal 7% nel 2010 al 6,5% nel 2017, a fronte del 9,8% della media europea. Vi sono, però, ancora differenze regionali che devono essere superate, perché nessuno rimanga indietro e tutti possano accedere alle cure più efficaci indipendentemente dal luogo in cui vivono”.
Alcune Regioni come la Campania hanno segnato la strada. “A ottobre 2019, è stata la prima in Italia a fornire gratuitamente a tutti i pazienti colpiti da melanoma, un tumore della pelle, la combinazione di due molecole immunoterapiche, nivolumab e ipilimumab – afferma Paolo Ascierto, Direttore dell’Unità di Oncologia Melanoma, Immunoterapia Oncologica e Terapie Innovative dell’Istituto Nazionale Tumori IRCCS Fondazione ‘G. Pascale’ di Napoli -. Un anno fa, la terapia era stata approvata dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), ma lasciata in fascia C, impendendone così la rimborsabilità da parte del Servizio Sanitario Nazionale. Si è creato in questo modo un grave danno per i pazienti colpiti da melanoma, soprattutto per i cittadini con metastasi cerebrali asintomatiche, circa il 40% del totale, per i quali questa combinazione ha evidenziato risultati importanti: il 70% delle persone è libero da recidiva a 2 anni, motivo per cui tale trattamento è riconosciuto come prima opzione dalle maggiori linee guida internazionali in questi pazienti. Nelle altre Regioni la terapia non è ancora rimborsata, chiediamo che le Istituzioni locali si attivino quanto prima perché i malati non possono aspettare”.
La Lombardia è stata apripista sui test genomici, stabilendone, a settembre 2019, la rimborsabilità per le donne con carcinoma della mammella in stadio iniziale (positivo ai recettori ormonali e a rischio intermedio). “È stata la prima Regione ad adottare un provvedimento di questo tipo – sottolinea Nicla La Verde, membro Direttivo nazionale AIOM e Direttore Oncologia Ospedale Sacco di Milano -. La genomica fornisce straordinarie informazioni sulla natura di alcuni tumori, in particolare nel carcinoma mammario aggiunge dati che i parametri clinici, come il diametro della massa tumorale o la sua stadiazione, non offrono. I test genomici sono in grado di predire l’aggressività della malattia in stadio iniziale e di stimare meglio il rischio di una paziente, operata di tumore al seno, di sviluppare metastasi; quindi possono aiutare a decidere se aggiungere la chemioterapia alla terapia ormonale dopo la chirurgia. Grazie al test genomico, alcune pazienti a rischio intermedio di ricaduta possono evitare la chemioterapia. Ciò può tradursi, da un lato, in un beneficio clinico per le pazienti che non vengono più esposte a un eccesso di trattamento e al relativo rischio di tossicità immediate e tardive, dall’altro in un impatto favorevole sulla spesa sanitaria, che rappresenta un elemento di importanza fondamentale con cui anche i clinici devono confrontarsi”.
Nel trattamento del tumore della mammella si stanno evidenziando preoccupanti disparità nell’accesso alle terapie. “In particolare, nelle forme che esprimono in quantità eccessiva la proteina HER2 e che rappresentano circa il 15-20% dei casi, l’ente regolatorio europeo (EMA) nel 2015 ha approvato pertuzumab, terapia a bersaglio molecolare, prima della chirurgia (trattamento neoadiuvante) – spiega Lucia Del Mastro, membro Direttivo nazionale AIOM e Responsabile Breast Unit IRCCS Ospedale Policlinico San Martino di Genova -. È dimostrato che il farmaco, somministrato insieme alla chemioterapia prima dell’intervento chirurgico, aumenta la probabilità di ottenere la risposta patologica completa, vale a dire la scomparsa del tumore invasivo sia nel seno che nei linfonodi, riducendo così le probabilità di ripresa di malattia. AIFA ha recepito l’indicazione europea, ma nel 2017 ha deciso di non rimborsare la molecola. In questo modo, si creano disuguaglianze sia rispetto agli altri Paesi europei che invece (fatta eccezione per la Francia) hanno rimborsato la molecola sia all’interno del territorio nazionale. Assistiamo a disparità inaccettabili nell’accesso alla terapia, anche all’interno di una stessa Regione, perché alcuni ospedali hanno assunto la decisione di acquistare il farmaco, invece altri, per considerazioni di budget, non l’hanno adottata. Nel momento in cui EMA approva un farmaco con una specifica indicazione, AIFA dovrebbe non solo recepire la decisione ma anche rimborsare la terapia. La situazione attuale crea difficoltà sia alle pazienti sia ai medici, che non possono seguire le linee guida internazionali che raccomandano il trattamento neoadiuvante con pertuzumab”.
Il 4 e 5 febbraio a Milano, AIOM e Fondazione AIOM organizzano un corso di formazione sulle Linee Guida destinato ai pazienti. “Le Linee Guida sono uno degli strumenti principali della medicina basata sull’evidenza – afferma Massimo Di Maio, Segretario Nazionale AIOM e Direttore dell’Oncologia dell’Ospedale Mauriziano di Torino -. Attraverso un processo sistematico e trasparente rendono possibile il trasferimento nella pratica clinica di tutte le nuove conoscenze prodotte dalla ricerca medico-scientifica. Nell’elaborazione di diverse Linee Guida AIOM hanno preso parte anche i pazienti, che oltre ai medici specialisti, sono gli ‘utilizzatori finali’ di questi documenti. Devono essere inclusi nella loro stesura, per questo organizziamo corsi di formazione per pazienti. Ma le Linee Guida non bastano. Per estendere le ‘buone pratiche’ a tutto il territorio, devono essere implementate le reti oncologiche regionali, la cui attivazione ad oggi risulta eterogenea. Le reti rappresentano il modello per garantire in tutto il nostro Paese l’accesso a diagnosi e cure appropriate e di qualità, per razionalizzare risorse, professionalità e tecnologie, e per arginare il fenomeno preoccupante delle migrazioni sanitarie”.
In Italia, nel 2019, le nuove diagnosi di cancro sono state 371mila. “Rispetto al 2018, si è registrato un calo di circa 2.000 casi, a cui ha contribuito l’efficacia dello screening del tumore del colon retto, che permette di individuare lesioni a rischio prima della loro trasformazione in neoplasia – conclude il Presidente Beretta -. L’adesione alla mammografia, nel 2017, ha raggiunto il 55% e allo screening colorettale il 41%. Vi sono notevoli differenze fra Nord e Sud che vanno ricondotte anche alla diversa copertura. Per quanto riguarda la mammografia, quest’ultima è praticamente completa nell’Italia settentrionale e centrale, al Sud invece solo 6 donne su 10 ricevono l’invito. Nello screening colorettale, al Nord e al Centro siamo vicini alla copertura completa (92% Nord, 95% Centro), il Sud invece è ancora sotto il 50%”.
Notizie: Ufficio Stampa Intermedia