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Intervista a Sergio Sgrilli, “Sistemarsi dentro per un domani migliore”

Unire una forza positiva ad un’anima razionale. Sembra essere questo il messaggio di Sergio Sgrilli in questo periodo così complicato. Comico e musicista, ma anche un filosofo contemporaneo. La sua visione a metà tra realismo e un ottimismo capace sempre di metterti allegria traspare pienamente in ogni suo singolo aspetto.
Sergio ha raccontato a CronacaTorino il periodo della quarantena, il difficile momento del settore dello spettacolo, ma anche i momenti di Zelig e la sua grande passione per la musica e la vita.
Buongiorno Sergio, parliamo del momento difficile che stiamo vivendo. Tu hai scelto di raccontarlo con le due dirette Facebook, dove provi a descrivere la realtà di oggi con il tuo modo leggero
La prima fase è stata molto, molto, molto dura… Non a caso ti ho detto così, perché ho intuito già dalle prime avvisaglie che sarebbe stata una situazione davvero seria. Mi sono messo in auto isolamento dal 23 di febbraio per proteggere sia me che gli altri.
Ho vissuto tre settimane di chiusura totale senza nemmeno il telefono acceso, ma poi ho reagito. Prima ho riacceso il telefono e mi è quasi venuto male non sentendolo mai squillare e da lì sono passato alla decisione di creare qualcosa… Ma come dici “Andrà tutto bene” senza dirlo esplicitamente?
Ho cercato spaccati di vita quindi, ho contattato colleghi, ma anche sconosciuti entrando nelle loro case e chiedendo loro come vivono il momento. Sono stato mosso prima di tutto dalla curiosità, facendo mio il motto “Curiosità è sinonimo di intelligenza”.
Faccio domande semplici allo scopo di cercare delle storie di persone e del loro quotidiano, anche per prepararci a cosa avverrà poi.
Personalmente credo che dopo aver sistemato casa e pulito ogni cosa, serva anche una sistemata dentro di noi. Nel mentre si può ripartire da semplici chiacchiere e da un piano di lettura molto leggero.
Per voi dello spettacolo la ripartenza è ancora lontana, come si vive questo momento?
Come qualsiasi azienda, anche io artista ho fatto gli scenari per il futuro. Ne ho previsti tre: uno ottimista, uno pessimista e una via di mezzo.
Nella versione più ottimista posso dirti che siamo nel casino più totale, perché c’è un problema di fondo di cui non si parla.
L’Italia è ferma da febbraio e quindi significa che gli spettacoli dei mesi successivi non è stato possibile farli. Per molti di quelli si è scelto di rinviare, anche per non far fallire tutti quanti.
Il punto è che quando ripartirà si avrà la coda di tutto quello che è stato venduto per i mesi di forzata inattività. Solo che ci sarà da rispettare delle norme, il pubblico sarà ridotto per le normative e chi cerca di fare una serata rischia di slittare al 2022 se prendiamo per buono il 2021 come inizio.
Io ho incassato l’ultimo euro dal Teatro a gennaio 2020 e di questo passo rischio di poterne rivedere altri tra un anno e mezzo. Ma quanti possono realmente stare senza incassare per così tanto tempo?
In casa spendo ovviamente il meno possibile, ma ora con la Fase 2, e senza incassare, sicuramente non andrò a spendere e dunque il rischio è certamente un circolo vizioso. Ho creato, come dicevamo prima, questo momento sui social, ma chiaramente è un qualcosa di completamente gratuito.
A livello personale sono un ottimista, sono caduto e mi sono rialzato davvero tante volte… Però questa volta, pur mantenendo il sorriso e la calma, non so davvero come sarà il futuro. E anche parlare di ripartenza e palchi con un pubblico ridotto e con mascherine… Beh sarà davvero qualcosa di strano e che ci ricorderemo tutti.
Parlando invece di te, sul tuo sito scrivi di essere “l’unico comico della sua generazione a non aver scritto un libro”. Resisterai al non farlo o ci proverai prima o poi?
Certamente non userò questo tempo per scriverne uno. In realtà ho sempre scritto e ho avuto la soddisfazione di essere pubblicato accanto a nomi importanti.
Sono anche un appassionato di moto e ho scritto per anni per riviste del settore. Posso dirti che nel cassetto ci sono tre progetti che chissà… Magari in futuro…
Un libro è qualcosa di importante e quindi è difficile dire qualcosa così su due piedi, a volte mi hanno detto di adattare un mio spettacolo, ma ho davvero troppo rispetto per la carta stampata.
La frase che citavi è nata ai tempi di Zelig dove c’è stato un momento in cui tutti pubblicavano il proprio libro anche se conteneva più immagini che parole. A volte c’erano numeri pazzeschi, come quelli di Flavio Oreglio, ma comunque tutti furono venduti bene.
Sì, è stato un vanto fino a poco tempo fa la cosa di non aver mai scritto un libro, ma ora magari penso che se ne avessi pubblicato uno non guarderei così storto il futuro. (ride)
Tu sei un musicista prima che un comico. Quali sono stati i tuoi riferimenti musicali?
Ho origini molto umili, non c’era tutta questa cultura musicale, ma certamente il cantautorato italiano ha avuto un fascino importante. Edoardo Bennato e Lucio Dalla erano quelli che mettevano una sorta di ansia da prestazione quando li vedevi sul palco.
E poi c’erano Paolo Conte, Francesco De Gregori e Franco Battiato che erano davvero pazzeschi.
A livello di musiche sono partito anche io dal rock più cattivo fino ad arrivare alle sonorità del blues e del funky. All’epoca sono stato uno di quelli che ha mollato il basso dopo aver sentito suonare Jaco Pastorius. Sono tornato alla chitarra ed è stata la scelta migliore.
Ho avuto sempre una grande attenzione anche qui ai piani di lettura, nella mia canzone “Nostalgia”, ad esempio, c’è un omaggio ai locali degli anni 90 dove sono nate e morte tante band in una sola notte.
Erano tempi in cui “Get On Up” durava anche 35 minuti… Lì mi son trovato a dividere il palco con musicisti come Stefano Bollani, Alex Baroni e Faso di “Elio e le Storie Tese”. Fu proprio Faso a dirmi che ero bravo, di provare con il cabaret e di andare allo Zelig… Vuoi sapere la mia risposta? Gli chiesi cosa fossero il cabaret e lo Zelig.
Zelig chiaramente è stata l’esperienza che mi ha cambiato la vita e che mi ha dato la fama con tutti i lati positivi e negativi di essa.
Quali sono questi lati positivi e negativi?
Zelig ad un certo punto è diventato una sorta di marchio. Il contenitore era diventato più importante del contenuto e questo ha fatto tantissimi danni a molti di noi. Era passato il messaggio che se uno faceva tre minuti in televisione poteva reggere una serata in teatro perché arrivava da quel contenitore.
I Teatri, ad un certo punto, hanno iniziato a non volere più i comici dopo che c’era stato questa esplosione iniziale e io sono uno di quelli che da tutta la situazione ha subito delle conseguenze.
Nei monologhi di Zelig hai sempre criticato con ironia quel momento della musica italiana. Oggi invece come la vedi?
Devo fare due precisazioni per poterti rispondere. La prima è che non odio e non ho rancori verso i Talent. Sono una nuova forma figlia dei tempi che sono cambiati, ma non odio nemmeno le piattaforme che distribuiscono musica o i social… Non lo ritengo giusto, sarebbe come odiare un coltello perché se usato male può far male.
La seconda premessa è che oggi sono un uomo di 52 anni che è nello spettacolo da trenta. Proprio dalla mia esperienza posso dirti che è tutto parte dello showbusiness. Certe scelte sono dettate da quello che è business. Sanremo, ad esempio, non possiamo ignorare che sia uno show televisivo con tutte le regole del caso.
Se ci limitiamo a considerarlo il Festival della Canzone perdiamo una parte significativa di quello che è. La musica oggi è diventata in larga parte business, ma la cosa brutta è che abbiamo dimenticato come si fa ad ascoltare senza un supporto video davanti.
Ho prodotto il disco di un duo fenomenale, “La Bocca” e siamo stati ad una serata di beneficenza dove potevi avere il disco facendo una donazione. Una ragazza ci ha lasciato la donazione, ma non voleva il disco perché non sapeva dove ascoltarlo.
Un po’ triste…
Certo, ma è lo specchio di questi tempi. Non ci sono spesso più gli stereo come i nostri… Tornando a Sanremo e il business pensa ad Achille Lauro, tutti lo criticano e i comici lo prendono in giro senza capire che fanno il gioco che voleva lui. Questo conferma che serviva, magari non a livello musicale, ma allo show in quanto tale.
C’è da dire che in tempi del genere un Lucio Battisti farebbe fatica ad emergere, ma qui poi subentra il mio ottimismo nello sperare sempre che quelli bravi escano per davvero…
Sono molto prolisso oggi, ma riflettiamo anche sulla definizione di persona di successo. Ero una persona di successo quando ero in TV a fare pezzi per milioni di persone? No, il successo è fare quello che ti senti. Oggi, stando in teatro, io posso dire di sentirmi una persona felice di quello che fa.
So che dirlo adesso con i teatri chiusi sembra assurdo, ma prima di questo sottosopra era così.
Una visione simile, per certi versi, ad un personaggio che abbiamo intervistato anche noi: Fabio Treves.
Fabio Treves è una sorta di fratellone per me, è capitato spesso di stare sul palco insieme e posso vantarmi di avere la sua armonica in una delle mie canzoni.
Un ultima domanda Sergio: il tuo messaggio per i nostri lettori
Non mi sento di dire “Andrà tutto bene”, perché in tutta onestà mi sembra una stupidaggine. Provo a dire quello che interesserebbe sentire a me.
Quello che stiamo vivendo è il presente e poi certamente arriverà il futuro, ma serve vivere l’oggi per riuscire davvero a ripartire domani. Se è vero che andrà tutto bene, lavoriamo per migliorare e creare un domani diverso. Non sprechiamo l’ennesima occasione per essere migliori. (Alessandro Gazzera)

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