Hunger Games: La ragazza di fuoco, un seguito (poco) infuocato per il nuovo fenomeno cinematografico

L’attesa è finita: è finalmente uscito in sala Hunger Games: La Ragazza di Fuoco, attesissimo sequel del nuovo fenomeno cinematografico mondiale femminil-adolescenziale, che in poco più di una anno ha fatto rimpiangere, se non addirittura finire nel dimenticatoio, il suo più diretto precursore, ovvero la saga di Twilight.

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Merito senza dubbio della sua protagonista, una decisamente più talentuosa Jennifer Lawrence al posto dell’insipida Kirsten Stewart, e di un’opera originale da cui il film è tratto – i romanzi di Suzanne Collins (editi in Italia da Mondadori) – più matura e politica rispetto alla superficialità della Mayer.

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Allo stesso tempo, tuttavia, questo nuovo capitolo di quella che a Hollywood è diventata la moda della tetralogia (che di wagneriano ha ben poco però) al posto della collaudata trilogia – capostipite dello spezzare in due la conclusione di una saga per aumentarne l’attesa e, ovviamente, gli incassi, è stato Harry Potter (l’esempio più recente è stata proprio la conclusione di Twilight con Breaking Dawn Parte 1 e Parte 2), e così succederà alle avventure già programmate, per il novembre 2014 e il novembre 2015, della nuova eroina delle adolescenti di tutto il mondo Katniss Everdeen – ha ben poco, a dispetto del titolo, di infuocato, eccezion fatta per gli effetti speciali sulle tute dei protagonisti a cavallo delle bighe.

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Il cambio al timone di regia – Francis Lawrence (“Constantine”, “Io Sono Leggenda”, ma anche “Come l’Acqua per gli Elefanti”) al posto di Gary Ross – ha aperto nuove possibilità alla saga, perché Lawrence ha uno stile più visionario, che la sceneggiatura di Simon Beaufoy e Michael Arndt, e il budget di produzione, lievitato dopo i faraonici incassi dello scorso anno, hanno sapientemente assecondato, tanto che la differenza più evidente tra il primo Hunger Games e questo suo seguito sta proprio nella scelta di distanziarsi profondamente dallo stile visivo di ciò che lo ha reso celebre. Di per sé, questo potrebbe anche essere un merito, visto che, al contrario, anche i cambi di regia in Harry Potter o Twilight non avevano mostrato particolari differenze stilistiche qui invece più evidenti: la camera a mano che seguiva la protagonista nel primo episodio è stata sostituita dalla grandeur del motion control, e i dettagli si sono trasformati in ampiezza di campo ad esaltare la messa in scena.

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Può diventare altresì un difetto quando il regista sceglie di seguire una strada più convenzionale e di genere per dare un’impronta molto più hollywoodiana al progetto, valorizzando tutti quegli elementi scenici che nel primo episodio sembravano ridotti al minimo per volontà di un regista più indipendente che da grande blockbuster. Già, perché è questo ciò in cui si è trasformata questa saga ambientata in un futuribile mondo distopico ( Hollywood che ama i filoni si appresta a far approdare sugli schermi un’altra eroina assai simile: Beatrice “Tris”Prior interpretata da Shailene Woodley in Divergent), un blockbuster pronto ad abbattere record d’incassi – ad oggi, è già sulla buona strada –, che comunque ha il pregio, come sottolineato sin dall’inizio, di avere una protagonista con cui è subito facile empatizzare, nella quale potersi riconoscere, che alle adolescenti piace perché è sì bella e forte, coraggiosa e indipendente, ma allo stesso tempo romantica, molto umana e normale, anche nell’aspetto fisico, visto che Jennifer Lawrence non rappresenta certo il modello di ragazza ai limiti dell’anoressia che è andata (e ancora ahimè va) tanto di moda nella società contemporanea.

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Quello che non convince del film è però la sua struttura, con un racconto spezzato in due blocchi, con una prima parte più introspettiva che approfondisce ciò che nel primo film non si poteva fare, e una seconda che punta tutto sulla spettacolarità visionaria dell’Edizione della Memoria, ricca sì di colpi di scena e piena di ritmo, ma che porta anche a un finale troppo aperto – se vogliamo inutile, perché della sua conclusione con Il Canto della Rivolta già si sa – mentre la grande capacità sta nel creare film comunque autoconclusivi – in questo, campione assoluto è la Marvel –, perché sarà pur vero che lo zoccolo duro sono i fan, ma anche chi decide di approcciarsi a un film senza averne visto il precedente o senza volerne vedere il successivo dovrebbe non rimanere con l’amaro in bocca una volta conclusasi la magia della sala buia e del Dolby 7.1.

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Luca Brunetti

Foto: wikipedia.org