Cultura e Società

Cos’è l’Amore? Fenomenologia semiseria del più grande mistero della Vita

innamoratiFin dalle origini del mondo l’Uomo si è posto la fatidica domanda: “Cos’è l’Amore?” E non c’è filosofo, psicologo, poeta o letterato che non si sia cimentato almeno una volta nel tentativo di trovare una risposta definitiva, sviscerando l’argomento fino ai minimi termini.
Come base interdisciplinare, sussiste il comune denominatore che vede l’Amore come una forza ineluttabile in grado di attrarre verso di sé qualsiasi essere del Creato. Questo concetto, ad esempio, viene illustrato a meraviglia dall’astrofisica: in cielo come in terra, una volta entrato nel campo gravitazionale dell’ipotetico buco nero, il povero corpo celeste non fa mai una gran bella fine.
Ma torniamo a noi.
Incredibilmente attuale, ad esempio, è Socrate, che in un’accezione tanto rivoluzionaria quanto contemporanea, già nel V secolo a.C. sostenne che “Amore è il desiderio di ciò che manca”, ampliando pure il concetto di eros quale “il prevalere del desiderio irrazionale sulla rettitudine”.
Un secolo dopo sarà Aristotele a sostenere: “L’amore, come l’odio, è un’affezione dell’uomo in quanto sinolo (ovvero in quanto sostanza imperfetta che deriva dalla fusione di forma e materia): nasce cioè dalla sua deficienza”.
Il tempo passa, e dopo la grande parentesi mistica dominante per tutto il Medioevo, è Spinoza che, sebbene escluda l’Amore dalle categorie dei Tre Affetti Primi (cupiditas, laetitia e tristitia), lo fa comunque discendere da essi, sostenendone la chiara matrice egoistica. Un punto a favore per i romanticoni è segnato da Leibniz che, tentando di risolvere la contraddizione tra il fatto che non possiamo desiderare se non il nostro bene, e il fatto che nell’amore cerchiamo esclusivamente il bene dell’oggetto amato, dirime la controversia in via bonaria e stabilisce che “Quando si ama sinceramente una persona, non si cerca il proprio profitto né un piacere staccato da quello della persona amata, ma si cerca il proprio piacere nell’appagamento e nella felicità dell’altro”.
Nel 1600 ci pensa Kant a controbattere, distinguendo tra “amor pratico” e amore “patologico”.
Dopodiché, arriviamo al Romanticismo e a tutte le sue trepidazioni dell’anima, dove un Amore tortuoso trasfigura tisiche fanciulle in tragiche eroine tutte palpiti e tremori, sposandosi a perfezione con l’hegeliana definizione per cui se l’amore è “conciliazione dialettica degli inconciliabili […..] culmine dell’Amore diventa la Morte”. Un tantino macabro forse, tuttavia ripreso all’inizio del XX secolo dal grande padre della psicanalisi, Freud, che nel 1920 afferma altrettanto lapidario: “la vita contiene la morte ed Eros si fonda in essa.”
Con tutto ciò, però, si arriva ai giorni nostri e ancora una definizione precisa “dell’Amore” non risulta acclarata. Tuttavia, l’unica conclusione che ci sentiamo di abbracciare è forse quella data da Kirkegaard che, alla domanda “Cos’è l’amore?” rispondeva “L’amore è il contenuto di un sogno”.
V.P.

 

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